lunedì 15 giugno 2009

Diteci sa valga la pena lavorare in rete

L'idea di Infocivica suggerita da Carlo Monti è di fare della Rete lo strumento principale di lavoro e non  solo di vetrina promozionale, documentazione degli eventi e pubblicazione dei documenti prodotti dalla nostra Associazione.

Dopo aver assicurato a partire dall'autunno 2008 un rilancio dell'Associazione con il concorso di Eurovisioni, Globus et Locus e Auditorium alla realizzazione di alcuni eventi significativi, riteniamo opportuno avviare un  nuovo corso riorganizzativo dell'Associazione che - beneficiando gratuitamente delle risorse e opportunità fornite dalla Rete e del cervello e della creatività dei  nostri associati - possa creare le premesse per fare di Infocivica un 
incubatore e un serbatoio di nuove proposte editoriali che soddisfino le finalità indicate all'Art. 3 dello Statuto della nostra Associazione. La rete come fucina di creatività e di idee per il rinnovo della missione del servizio pubblico.  Si tratta di un esperimento che vorremmo durasse 12 mesi sino alla prossima Assemblea Generale in cui potremo esaminare i risultati prodotti e decidere se andare avanti. Cerchiamo insieme di valutare tre punti:
a) punti di forza e di debolezza di questa sperimentazione in  particolare sotto il profilo dell'accesso e della partecipazione dell'insieme degli associati

 
b) condizioni effettive alle quali i membri accettino di condividere le loro idee, i loro progetti realizzati in qualità di professionisti e i loro testi redatti come intellettuali e giornalisti nel rispetto delle norme a tutela dell'ingegno 


c) modalità di comunicazione, marketing, eventuale "commercializzazione" dei progetti, brevetti, ecc.  e di loro "pubblicazione" all'esterno, ovvero strumenti per renderli davvero
accessibili all'opinione pubblica. 


La discussione avviata da Infocivica Social Network e i gruppi di studio di Infocivica PROJECT INCUBATOR costituiranno una parte essenziale sia della produzione di nuovi Documenti dell’Associazione sia della progettazione e dell’’elaborazione di nuovi progetti editoriali quali il progetto del Caleidoscopio per una nuova Enciclopedia Italiana, illustrato dal nostro Segretario Generale in occasione della presentazione nell’ottobre 2008 al Palazzetto del Burcardo del nostro Appello sulle ragioni del servizio pubblico cross mediale nella società italiana dell’informazione. Crediamo che l'accesso alla rete sia per tutti, indipendentemente  dall'età, e quindi credo che indispensabile sia la funzione di Virgilio, di guida ma anche - senza offendere nessuno - quella di "badante crossmediale" ovvero di assistente quotidiano nei primi passi di ciascuno di noi in questo social network.

 
Attendiamo dunque i vostri commenti e consigli sui tre punti sopraindicati. Li pubblicheremo su INFOCIVICA OPEN SPACE (IOS) - IL BLOG DEGLI AMICI DI INFOCIVICA

  

mercoledì 13 maggio 2009

Presidenti, Amministratori Delegati e Direttori Generali URI EIAR RAI

Osservando l'elenco dei Presidenti, dei Direttori Generali e degli Amministratori Delegati nella storia della radiodiffusione in Italia, osserviamo:
- una grande stabilità nel primo ventennio URI-EIAR (compresi quelli della RSI) con tre presidenti e due amministratori delegati
- una situazione eccezionale dall'agosto 1944 alla proclamazione della Repubblica
- una situazione di stabilità nel primo ventennio repubblicano con l'avvicendarsi di sette presidenti, quattro amministratori delegati (dal 1954 al 1972) e cinque direttori generali
- il perdurare di una situazione di stabilità relativa dopo la Riforma del 1975 sino al crollo della Prima Repubblica con cinque presidenti e sei direttori generali
- una situazione di forte instabilità negli anni della cosiddetta Seconda Repubblica con l'avvicendarsi di ben dieci presidenti e dodici direttori generali





1. UNIONE RADIOFONICA ITALIANA - URI

27 agosto 1924 Enrico Marchesi, Presidente Vice Presidente: Luigi Solari

17 novembre 1927 Trasformazione in EIAR. Raoul Chiodelli diventa A.D. e Direttore Generale




2. ENTE ITALIANO AUDIZIONI RADIOFONICHE - EIAR

15 gennaio 1928 Enrico Marchesi Vice-Presidenti: Luigi Solari e Arnaldo Mussolini

22 novembre 1933 Giancarlo Vallauri Presidente Raoul Chiodelli DG e AD
2a) Eiar sotto controllo della Repubblica Sociale Italiana nelle zone sotto occupazione tedesca:

30 dicembre 1943 Ezio Maria Gray Commissario Straordinario Cesare Rivelli DG

2b) Nuova Eiar sotto controllo alleato nelle zone liberate

14 agosto 1944 Luigi Rusca DG e AD


26 ottobre 1944 Trasformazione in Radio Audizioni Italia



3. RAI - RADIO AUDIZIONI ITALIA
20 gennaio 1945 (Rai solo nelle zone liberate) Luigi Rusca Commissario straordinario

22 aprile 1945 Arturo Carlo Jemolo Presidente e Armando Rossini DG

27 aprile 1945 (per la Rai in Alta Italia) Enrico Carrara Commissario straordinario CLNAI

15 luglio 1945 Finisce il controllo alleato sulla radiodiffusione



9 novembre 1945 La direzione generale centralizza le pratiche epurative


22 dicembre 1945 Arturo Carlo Jemolo Presidente, Enrico Carrara, Commissario straordinario CLNAI




La Rai nell’Italia repubblicana


2 agosto 1946 Giuseppe Spataro Presidente, Enrico Carrara Consigliere Delegato e DG gestione unificata

Ottobre 1947 Giuseppe Spataro Presidente e Salvino Sarnesi DG

28 gennaio 1950 Vice Presidente (reggente) Salvino Sarnesi DG

18 maggio 1951 Cristiano Ridomi Presidente e Salvino Sarnesi DG (poi interim Marcello Bernardi Vice DG)



10 aprile 1954 Nuova denominazione RAI-Radiotelevisione Italiana. In adempimento alla nuova Convenzione sorge a fianco del Presidente con funzioni di rappresentanza, la figura dell’Amministratore Delegato mentre quella del direttore generale sovrintende soprattutto i contenuti della programmazione



RAI- RADIOTELEVISIONE ITALIANA
3 giugno 1954 Antonio Carrelli Presidente, Filiberto Guala mministratore Delegato, Giovan Battista Vicentini Direttore Generale

27 giugno 1956 Antonio Carrelli Presidente, Marcello Rodinò di Miglione Amministratore Delegato, Rodolfo Arata Direttore Generale

18 gennaio 1961 Novello Papafava Presidente, Marcello Rodinò di Miglione Amministratore Delegato, Ettore Bernabei Direttore Generale

7 giugno 1964 Pietro Quaroni, Presidente, Marcello Rodinò di Miglione, Amministratore Delegato, Ettore Bernabei Direttore Generale

29 aprile 1965 Pietro Quaroni, Presidente, Gianni Granzotto Amministratore Delegato, Ettore Bernabei Direttore Generale

13 aprile 1969 Aldo Sandulli Presidente, Luciano Paolicchi Amministratore Delegato, Ettore Bernabei Direttore Generale

28 luglio 1971 Umberto delle Fave Presidente, Luciano Paolicchi Amministratore Delegato, Ettore Bernabei Direttore Generale

Luglio 1972 Umberto delle Fave Presidente, Ettore Bernabei Direttore Generale



14 aprile 1975 Approvazione della Legge di Riforma della Rai



La RAI DOPO LA RIFORMA



23 maggio 1975 Beniamino Finocchiaro, Presidente, Michele Principe Direttore Generale



Gennaio 1976 Attuazione della Riforma


20 gennaio 1977 Paolo Grassi Presidente, Giuseppe Glisenti Direttore Generale

12 -19 luglio 1977 Paolo Grassi Presidente, Pier Antonio Berté Direttore Generale

12-19 giugno 1980 Sergio Zavoli Presidente, Willy De Luca Direttore Generale

20 luglio 1982 Sergio Zavoli Presidente, Biagio Agnes Direttore Generale

23 ottobre 1986 Enrico Manca Presidente, Biagio Agnes Direttore Generale

1 febbraio 1990 Enrico Manca Presidente, Gianni Pasquarelli Direttore Generale

19 febbraio 1992 Walter Pedullà Presidente, Gianni Pasquarelli Direttore Generale


25 giugno 1993: con la crisi della Prima Repubblica viene approvata una nuova modalità di nomina di un più ristretto CdA Rai composto da 5 persone da parte dei Presidenti di Camera e Senato


13-23 luglio 1993 Claudio Demattè Presidente, Gianni Locatelli Direttore Generale


12 luglio - 3 agosto 1994 Letizia Bricchetto Moratti,. Presidente, Gianni Billia Direttore Generale

16 gennaio 1995 Letizia Bricchetto Moratti Presidente, Raffele Minicucci Direttore Generale

28 febbraio 1996 Letizia Bricchet0to Moratti Presidente, Aldo Materia (ff DG)

19 aprile 1996 Giuseppe Morello Presidente (ad interim) Aldo Materia (ff DG)


10-15 luglio 1996 Vincenzo Siciliano Presidente, Franco Iseppi Direttore Generale

3-5 febbraio 1998 Roberto Zaccaria Presidente, Pier Luigi Celli Direttore Generale

9 febbraio 2001 Roberto Zaccaria Presidente, Claudio Cappon Direttore Generale

16 febbraio 2002 Vittorio Emiliani Presidente (ad interim), Claudio Cappon Direttore Generale


5-19 marzo 2002 Antonio Baldassarre Presidente, Agostino Saccà Direttore Generale

18 marzo -1 aprile 2003 Lucia Annunziata Presidente, Flavio Cattaneo Direttore Generale

4 maggio 2004 Francesco Alberoni (Consigliere Anziano ad interim), Flavio Cattaneo Direttore Generale



Maggio 2005 Entrano in vigore le nuove norme di nomina del CdA secondo la Legge Gasparri


1 giugno 2005 Sandro Curzi (Consigliere Anziano ad interim) Flavio Cattaneo Direttore Generale

31 luglio - 4 agosto 2005 Claudio Petruccioli, Presidente, Alfredo Meocci Direttore Generale

22 giugno 2006 Claudio Petruccioli Presidente, Claudio Cappon Direttore Generale

26 marzo – 2 aprile 2009 Paolo Garimberti Presidente, Mauro Masi Direttore Generale

4 marzo 2011 -8 giugno 2012 Paolo Garimberti, Presidente, Lorenza Lei Direttore Generale

8 giugno 2012-5 agosto 2015 Anna Maria Tarantola, Presidente Luigi Gubitosi Direttore Generale

5 agosto 2015-6 giugno 2017 Monica Maggioni, Presidente, Antonio Campo Dall’Orto, Direttore Generale  poi Amministratore Delegato 

9 giugno 2017 - 31 luglio 2018 Monica Maggioni, Presidente  Mario Orfeo, Direttore Generale  

31 luglio 2018 -15 luglio 2021 Marcello Foa (1) Presidente eletto dal CdA, Fabrizio Salini Amministratore Delegato

Situazione attuale:

dal 16 luglio 2021 Marinella Soldi Presidente eletta dal CdA, Carlo Fuortes Amministratore Delegato




[1] Non raggiunge la maggioranza qualificata il 1 agosto della Commissione Parlamentare Bicamerale di vigilanza.




martedì 5 maggio 2009

DI MEGLIO E DI PIU' PRECISO. Dall'offerta radiotelevisiva lineare all'offerta crossmediale: identificare la diversità del servizio pubblico

La questione dell’identificazione della diversità culturale offerta dal servizio pubblico è una questione che ossessiona da anni i broadcaster pubblici europei confrontati con un contesto al contempo sempre più competitivo e sempre più articolato e frammentato. Si tratta insomma di una questione sempre più complessa imprescindibile dalla questione più generale della ridefinizione della missione del servizio pubblico radiotelevisivo nell’era crossmediale digitale per soddisfare le esigenze di informazione, educazione e cultura, ma anche di divertimento e svago di un nuovo public, ovvero di una nuova comunità sempre più articolata e complessa che - sotto le spinte della globalizzazione da un lato e delle comunità locali dall’altro – non si può solamente identificare con il modello tradizionalmente sì contrassegnato dai vecchi stati nazionali.

Da anni esistono anche in Italia modalità di misurazione della qualità radiotelevisiva intesa come creazione di valore pubblico, ovvero di valore per questa nuova complessa comunità fatta di cittadini italiani e di immigrati stranieri, di minoranze linguistiche ma anche di una miriade di potenziali utenti disseminati in tutto il mondo interessati alla lingua italiana e più in generale ai valori e ai tratti della cultura, dell’arte di vivere, di vestire, di intraprendere di coloro che sono stati definiti Italian Oriented People e che sono stati definiti con efficacia dall’ex Presidente delle Camere di Commercio Italiane all’estero come “italici”.

Vediamo come si poneva la questione della percezione della qualità nelle prime tre tappe della storia del sistema mediale italiano e come si pone oggi al momento del passaggio dall’offerta di contenuti su media separati lineari ad una quarta fase che si sta aprendo caratterizzata da quella che è stata definita come l’integrazione cross mediale dei contenuti nella quale saltano le rigidità legate spazio temporali proprie della radiodiffusione nel Novecento

La prima stagione: nell’era dei regimi di monopolio (anni Venti- fine anni Settanta) - in un ambiente oligocanale analogico su frequenze terrestri - la questione della qualità sostanzialmente non si poneva se non i termini generici di rilevazione di indici di apprezzamento degli ascoltatori tali da soddisfare anche le esigenze degli inserzionisti pubblicitari e degli sponsor dei programmi radiofonici.
A differenza della BBC e del modello di broadcaster pubblico che si andrà affermando nel dopoguerra, il caso italiano si caratterizza infatti sin dalla nascita come un modello ibrido “pubblico-privato” con imprese di diritto privato che andranno a partire dagli anni Trenta operando nell’ambito della costellazione delle cosiddette imprese a partecipazione statale.
Nei primi anni di vita dell’Unione Radiofonica Italiana il modello è quello di una radio privata d’élite che si rivolge a pochi fortunati possessori di apparecchi radiofonici che pagano un canone di abbonamento al servizio con un palinsesto dominato da programmi musicali e che trasmette un ristretto numero di bollettini informativi realizzati da un’Agenzia di stampa posta sotto la tutela del governo. Anche dopo il passaggio del nuovo Ente Italiano Audizioni Radiofoniche e il progressivo controllo di tale organismo da parte del regime fascista, l’esistenza di moderne forme di messaggi pubblicitari mutuati dal modello delle radio commerciali statunitense, fa della radio italiana un caso piuttosto originale nel panorama radiofonico europeo, a metà strada fra il modello di finanziamento pubblico britannico - che, con la nascita della nuova British Broadcasting Corporation, garantiva indipendenza e autonomia non solo dal potere politico ma anche da quello economico - e il modello commerciale adottato in regime di concorrenza sotto la tutela di un’Authority negli Stati Uniti.
Nonostante il successivo tentativo anche in Italia di ”nazionalizzazione delle masse” e l’uso propagandistico sempre più marcato della radio da parte del regime, i dirigenti dell’EIAR, seppur soggetti ad uno stringente controllo preventivo da parte del regime soprattutto quando esso viene trasferito al Ministero per la Stampa e Propaganda poi divenuto Ministero per la Cultura Popolare, beneficiano di una relativa autonomia di programmazione grazie all’esigenza di soddisfare le richieste del pubblico e quello degli inserzionisti pubblicitari e di alcuni sponsor che contribuiscono come oltre Oceano a finanziare determinati programmi quali ad esempio i concerti.
Questa felice ambivalenza si mantiene anche dopo la caduta del regime fascista con la fine dell’EIAR e la nascita di un nuovo soggetto di servizio pubblico, la Rai, nel secondo Dopoguerra. Anche in questo caso abbiamo a che fare con un soggetto di diritto privato ma titolare per convenzione della missione di servizio pubblico può operare come Giano Bifronte con una certa libertà di manovra, beneficiando peraltro della sua posizione di monopolista privo di concorrenti.
Ciò le consente, dopo il varo della televisione, di assicurare negli anni del Miracolo economico a cavallo fra anni Cinquanta e Sessanta, l’unificazione linguistica del paese e l’alfabetizzazione di massa degli italiani e - dopo la Riforma del 1975 - di avviare un primo tentativo in senso regionalista di rappresentare le varie realtà territoriali del Paese. Una certa dose di paternalismo e di pedagogismo “octroyé” (come direbbero i francesi), ovvero promulgato e imposto dall’alto non solo negli anni della dittatura ma anche in quelli della ricostruzione e nei primi 15 anni della Repubblica, non impediscono ai suoi dirigenti di effettuare una completa trasformazione da medium d’élite (com’era appunto la radio almeno sino allo scoppio della seconda guerra mondiale) nel principale oggetto di desiderio delle famiglie italiane, ovvero il televisore, che andrà sempre più sostituendosi al cinematografo nel tempo libero.
La qualità dovuta dalla missione istituzionale - accordata in base ad una convenzione rinnovata con lo Stato repubblicano nel 1952 - riesce a conciliarsi sostanzialmente con la qualità percepita e con il gradimento del pubblico (privo di alternative se non quella appunto di andarsene al cinematografo) rispondendo alle esigenze di un contingentato numero di inserzionisti pubblicitario e sponsor.

La seconda stagione con la fine del monopolio pubblico - dapprima in ambito locale e successivamente anche in ambito nazionale attraverso la cosiddetta interconnessione funzionale e la nascita dei grandi network commerciali finanziati esclusivamente da moderni spot pubblicitari e sponsorizzazioni che allargano sensibilmente il numero delle imprese inserzioniste, apre sostanzialmente il primo solco fra qualità dovuta e qualità percepita, provocando un sostanziale processo di omologazione dell’offerta del servizio pubblico con quella proposta dai network commerciali.
Il primo quindicennio del sistema misto dove coesistono soggetti pubblici e privati (dalla prima parte degli anni Ottanta sino alla prima metà degli anni Novanta) costituisce l’apoteosi della televisione e il primato dell’offerta generalista con programmi sempre più segnati dalla cosiddetta “Dittatura dell’Auditel”, ovvero dalla disperata ricerca dell’audience per soddisfare le esigenze degli inserzionisti in una logica di flusso continuo di immagini che rende il telespettatore sempre più passivo anche perché privo di offerte alternative come quelle che invece iniziano ad offrire in altri Paesi soprattutto nel Nord Europa alcune piattaforme distributive alternative sui circuiti via cavo, o in ricezione diretta via satellite.
Dalla felice anomalia italiana di Giano Bifronte, in questa seconda stagione il servizio pubblico diventa un Ircocervo metà servizio-metà impresa che assolve sempre meno la propria missione pubblica senza beneficiare della grande espansione delle risorse pubblicitarie. Perdendo le proprie prerogative di monopolista e assecondando al contempo sempre di più quelle degli inserzionisti a scapito delle missioni di servizio pubblico, si tende in qualche modo in un primo tempo a mettere in sordina la questione della qualità televisiva dei programmi trasmessi e del recupero della propria identità originaria: solo a partire dagli anni Novanta ci si renderà conto che essi rappresentano il fattore critico di successo per continuare a competere e a contrastare la concorrenza delle nuove emittenti commerciali che in virtù di una nuova legge di sistema beneficiano ormai della diretta e possono competere ad armi pari con l’impresa concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo.

La terza stagione (dalla seconda metà anni Novanta alla prima metà di questo decennio) inaugura una nuova fase dove con l’emergere delle nuove piattaforme digitali, inizia a declinare il primato dell’offerta radiotelevisiva di tipo generalista, ovvero rivolta ad un pubblico indifferenziato e dove una massa ancora piccola ma crescente di utenti inizia a dirottare i propri consumi al di fuori delle offerte proposte dai tradizionali strumenti di comunicazione di massa. Ci si rende conto definitivamente degli effetti devastanti dell’omologazione dell’offerta nella stagione precedente e della necessità di vincere la competizione sugli ascolti attraverso la qualità del servizio offerto che inizia ad essere dispensato anche sotto forma di nuovi canali tematici su queste nuove piattaforme.
Lo sviluppo delle prime offerte televisive multicanali digitali a pacchetto (i cosiddetti bouquet) coincide con il momento in cui va prepotentemente affermandosi uno strumento capillare di comunicazione bidirezionale interattiva come quello costituito dai nuovi siti disponibili attraverso il World Wide Web la nuova rete di interconnessione a ragnatela fra le diverse reti telematiche esistenti, nota come Internet. Le nuove offerte multicanali digitali e la crescita tumultuosa di Internet a cavallo dei due millenni tornano a porre al centro la questione della missione di coesione sociale a beneficio di una nuova forma di collettività intesa in senso locale-globale, ovvero “glocale”.
L’emergere di una sorta di Babele elettronica ovvero di caotica convivenza di un numero sempre più diversificato di offerte e di servizi, lineari e non, monodirezionali e interattivi, destinati ad essere fruiti tu terminali fissi e/o su terminali mobili, rende sempre meno efficace e comunque imperfetto l’Auditel per la rilevazione dei consumi mediatici degli italiani. Anche in Italia, nonostante l’assenza di sviluppo delle reti via cavo, gli utenti e i cittadini sono ormai sottoposti a diete sempre più raffinate e con i segmenti attivi della popolazione alle prese con una sempre più problematica gestione del fattore tempo, ovvero del tempo a disposizione per lo svago e per i consumi culturali a fronte di una crescente popolazione anziana non più attiva ma destinata comunque, pur non possedendo elevati tassi di alfabetizzazione ai nuovi linguaggi multimediali, non più appagata in toto dai tradizionali canali generalisti che era abituata a consultare attraverso un telecomando.
La crescita del numero di abbonati alle piattaforme a pagamento - e più in generale il ruolo di traino rappresentato dalle pay tv e più in generale dalle offerte premium di eventi sportivi e di lungometraggi cinematografici che diventano le locomotive di sviluppo delle offerte multicanali digitali - sanciscono la fine del modello del broadcaster verticalmente integrato e degli editori radiotelevisivi tradizionali incentrati sul primato del palinsesto e degli indici di ascolto, a favore di un nuovo soggetto, l’operatore multicanale a pagamento, titolare a monte dei diritti in molti casi in regime di esclusiva elle nuove offerte e a valle della gestione ad accesso condizionato degli abbonati attraverso un sistema di cifratura dei segnali che vengono decodificati da un apposito ricevitore collegato al televisore.
Nel passaggio dalla televisione oligocanale analogica alle nuove offerte televisive multicanali, l’utente finale, il nuovo telespettatore di fine millennio torna ad essere centrale come ai tempi del monopolio del servizio pubblico, ma in quanto consumatore di servizi a pagamento: dal primato degli ascolti del vecchio broadcaster passiamo alla centralità tendenziale da parte del gestore della piattaforma preoccupato della compravendita dei diritti e della gestione attraverso un decoder degli abbonamenti.
Contemporaneamente non assistiamo - come avvenuto in occasione del passaggio al sistema misto - ad una rapida moltiplicazione delle risorse ma ad un loro ulteriore assottigliamento fra un numero più articolato di soggetti in campo e di offerte. I nuovi canali digitali anziché puntare alla qualità, privi di adeguate risorse all’eccezione delle offerte premium, si limitano ad affettare una televisione generalista sempre più priva di qualità.
In questo quadro editoriale che diventa sempre più affollato e competitivo il servizio pubblico appare come un incumbent, una vecchia signora che perde smalto, rischia di non trovarsi più ai primi posti nella numerazione e, anziché governare la difficile transizione verso la televisione “tutta digitale” ed assumere un ruolo di apripista tecnologico, è fortemente tentato da volerne al contrario rallentare lo sviluppo, forte delle vecchie rendite di posizione di cui sino ad allora aveva potuto ancora disporre nonostante l’insediamento di un’Autorità Antitrust e di nuove imperative richieste da parte dell’Unione Europea di separazione contabile fra attività editoriali “mission oriented” finanziate dal canone e iniziative finanziate da altre fonti commerciali e in particolare dalla pubblicità e dalle sponsorizzazioni.
Non si percepiscono ancora in questa terza fase le grandi potenzialità rappresentate dalla materia prima di cui il servizio pubblico dispone, ovvero il ricco archivio accumulato nel passato né l’importanza di due fattori critici di successo quali la diversità delle offerte e dei generi e la qualità dei propri programmi rispetto a quelle dei grandi network commerciali e dei “poveri” canali tematici. Dal vecchio slogan “cercasi audience disperatamente” che lo costringeva a rincorrere il competitor commerciale sul segmento generalista, si acquisisce la consapevolezza che il nuovo servizio pubblico crossmediale può continuare ad avere una propria ragione di esistenza solo se riuscirà a riconcentrarsi nella ricerca della qualità e nel rigoroso assolvimento della sua missione di garante del pluralismo e della coesione sociale .

La quarta fase. Con l’avvento - a fianco delle piattaforme satellitari e di quella su reti telefoniche - della nuova offerta televisiva digitale terrestre destinata ad interessare tutte le famiglie in seguito al progressivo spegnimento delle trasmissioni in tecnologica analogica, a partire dal 2005 siamo entrati in una quarta fase dove assisteremo non solo al passaggio ad un ambiente multipiattaforma “tutto digitale”, ma anche ad una più compiuta ed irreversibile convergenza tecnologica fra reti di radiodiffusione circolare e reti di telecomunicazione.
Dall’attuale persistente Babele elettronica dove coesistono media separati su più piattaforme assisteremo alla nascita di una nuova Grande Tela (quella che taluni hanno chiamato Internet 2.0 altri addirittura Internet 3.0) in cui confluiranno le reti radiofoniche e televisive classiche senza ormai più limiti di irradiazione spaziali né temporali. In questa seconda (e probabilmente accelerata) transizione verso l’integrazione crosssmediale e la distribuzione intelligente dei contenuti e dei saperi in rete, occorre predisporre un oculato dosaggio dove coesistano media lineari e offerte di “comunicazione conservata in rete” e a fronte della moltiplicazione dei terminali e delle modalità di fruizione fissa (centralina intelligente) e mobile.
Come già avvenuto per Internet, diventa sempre più cruciale la conoscenza dei propri clienti ed utenti e il ruolo rappresentato dal motore di ricerca nella costruzione di diete mediatiche a misura dei singoli utenti. L’effetto “coda lunga” costituito dai nuovi mercati di nicchia e dalle sempre più raffinate offerte proposte con nuovi standard ad elevatissima qualità (a cominciare dall’alta definizione su schermi piatti) può incrementare il ciclo di vita dei prodotti e programmi a utilità ripetuta a scapito delle offerte “usa e getta” che hanno così largamente interessato gli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso.
Contemporaneamente la qualità di tale offerta può e deve coniugarsi con l’imperativo di lottare contro la frammentazione del corpo sociale assicurando una dieta mediatica diversificata e di qualità anche ai ceti monomediali più poveri e meno alfabetizzati. Solo così il servizio pubblico crossmediale potrà assicurare una nuova coesione della propria comunità di riferimento si trovi essa in ambito locale e/o nazionale, o in ambito europeo e globale

Conclusioni. L’Italia celebrerà nel 2011 il Centocinquantenario dalla nascita del proprio Stato unitario. Non sappiamo ancora se il 2011 coinciderà con la messa a punto di un nuovo assetto statuale in senso federalista basato su principi di sussidiarietà e di cooperazione in ambito inter- e macroregionale nell’ambito di un rilancio del processo di costruzione di un’Europa dotata di istituzioni politiche più forti ed influenti in un mondo sempre più globalizzato. Ma siamo convinti che il 2011 può rappresentare una sorta di terminus a quo di una nuova idea, di un nuovo concetto di servizio pubblico crossmediale che operi in senso “intelligente” all’interno di un inedito Welfare, per avviare, dopo la grande crisi finanziaria che ci sta colpendo, la ricostruzione dell’economia, della cultura e dei saperi nella società in rete. Quattro anni dopo, nel 2015 Milano ospiterà l’Expo Universale dedicata al tema dello sviluppo sostenibile. Questo grande evento può a sua volta rappresentare il terminus ad quem della fase sperimentale di questo nuovo servizio crossmediale. Ciò consentirebbe di prepararsi in modo appropriato alla scadenza prevista nel 2016 con il rinnovo della Convenzione fra la concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo e il nuovo servizio pubblico crossmediale incaricato di assolvere la propria missione di coesione sociale nella network society.
Come Giovanni Gentile realizzò negli anni Venti e Trenta con l’Enciclopedia Italiana un’opera editoriale di eccellenza, il servizio pubblico crossmediale può fare della diversità culturale e dell’eccellenza il proprio segno distintivo in questo secolo, intercettando e coordinando tutti i fornitori di contenuti pubblici e di pubblica utilità nella costruzione di un grande edificio, di un moderno tempio, al contempo garante e custode dei saperi condivisi in rete. Senza dimenticare il tradizionale presidio generalista e più in generale una ricca ed articolata presenza nell’universo radiotelevisivo lineare, il nuovo servizio pubblico crossmediale potrebbe predisporre un Museo Virtuale dell’italicità, una Grande enciclopedia della lingua della cultura e delle punte di eccellenza del sapere e dell’arte. Una sorta di caleidoscopio, un luogo, uno specchio nel quale la comunità possa leggersi e rispecchiarsi, un luogo in cui sentirsi italiani fra gli italiani, ma anche europei fra gli europei, una garanzia di servizio universale accessibile a tutti i cittadini ma anche un luogo finalizzato ad un’ordinata convivenza nella nuova Grande Tela Multimediale, un luogo in cui tutti e ciascuno si senta rappresentato, in cui nessuno abbia il timore che c’è qualcuno che provvede a deformare lo specchio o a truccare le carte.